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Quella pazza idea nel Bresciano: il recupero dell'Ici è «roba da matti»

di Mariano Maugeri

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24 Gennaio 2010

Uno spettro si aggira per la Padania: la riscossione dei tributi affidata ai matti bresciani. Matti di genio, addestrati dai coach delle cooperative sociali di Ospitaletto con un nome così soave e rassicurante che spinge i morosi a spalancargli le porte di casa: Fraternità.
Fraternità e tributi sono stati due mondi lontanissimi, almeno fino a una ventina di anni fa. Il portatore del verbo che da origine al network di cooperative sociali (coop private con finalità d'interesse pubblico) è un prete romano catacumenale, Corrado Fioravanti, che nel '78 batteva la Lombardia catechizzando i parroci locali sul sostegno ai drogati, handicappati ed ex carcerati: «Aprite un pronto soccorso umano in ogni comunità», ripeteva. A Ospitaletto don Corrado trova i suoi adepti più fedeli, don Dante e due suoi parrocchiani che hanno voglia di aiutare il loro prossimo, un agricoltore e due operai. Gente concreta che si rimbocca le maniche e interpreta la risposta ai malesseri sociali con il riflesso condizionato di ogni bresciano: il lavoro. Significa raccattare drogati, handicappati mentali ed ex carcerati e reinserirli nel circuito produttivo con una missione pubblica. Nell'80 nasce la prima coop sociale Fraternità, senza un centesimo di soldi pubblici. Da quel momento ne nascono un paio l'anno. Oggi ci sono una trentina di cooperative con 600 occupati, di cui 130 disabili o persone svantaggiate e 33 milioni di ricavi.
Le attività sono le più svariate, dall'agricoltura ai lavori edili, passando appunto dalla riscossione dei tributi. Perché nel frattempo don Dante e i suoi parrocchiani diventano il modello di quel cattolicesimo sociale che coincide con la stessa storia di Brescia. Nei lontani anni 80, il sindaco di Brescia Cesare Trebeschi affida ai matti di don Dante la cura del verde cittadino. Sette anni più tardi Ospitaletto e la Fraternità finiscono a Montecitorio: il senatore Franco Salvi e l'avvocato Felice Scalvini scrivono la legge 381 che sancisce nascita e peculiarità delle cooperative sociali.
La prima incursione nella selva tributaria è dell'88. Luigi Chiari, un ragazzotto ingaggiato per il servizio civile che falcia l'erba delle aiuole di Brescia il giorno e la notte condivide la stanza con alcolizzati e coetanei che hanno tentato più volte il suicidio, ricorda con terrore quella prima esperienza di recupero tributario in quattro Comuni del mantovano. È un bagno di sangue, un miliardo di vecchie lire perse e la consapevolezza che addestrare i ragazzi è un'impresa ardua.
Nel 2003 nasce una società con oggetto esclusivo: liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi locali. Ci vuole l'iscrizione all'albo del ministero dell'Economia. I concorrenti sono giganti come Equitalia, la società metà Inps e metà Agenzia delle Entrate. I matti vengono sguinzagliati a rastrellare l'evasione di Ici, Tarsu, pubblicità locale, Tosap.
Chiari e i suoi decidono che i primi soggetti di un controllo certosino debbano essere sindaci e consiglieri comunali. Un messaggio che stavolta non si fanno sconti a nessuno. Il patto che Fraternità propone ai Comuni è improponibile per gli altri concorrenti: a occuparsi della questione saranno ex drogati, alcolizzati o handicappati mentali di quel paese selezionati e addestrati dai formatori di Fraternità. Un costo sociale che si trasforma in un vantaggio economico per la comunità. I Comuni serviti sono un centinaio delle province di Brescia e Bergamo, ma è stata siglata una partnership anche in Friuli. Molti sono i sindaci leghisti, del Popolo delle libertà e una minoranza Pd. Chiari non le manda a dire: «Nella regione più ricca del paese le sacche di evasione sono enormi». In un paesino del Bresciano l'attenzione di un matto si concentra su una targa lucidissima di marmo che fa bella mostra di sé davanti al Municipio e narra le doti civiche di un medio imprenditore locale che dona 100mila euro l'anno alle casse comunali. Breve controllo nella banca dati messa su da Fraternità e si scopre che lo stesso imprenditore ne evade 400mila di Ici.
In certi Comuni gli uomini della coop bresciana vengono presi a randellate, le loro auto sfregiate, i sindaci arrabbiati perché con gente così tignosa si giocano la rielezione. Solo a Ospitaletto, 13mila abitanti, sono stati recuperati 4,5 milioni di Ici evasa. I primi cittadini più svegli ripetono questo slogan: se pagheremo tutti, pagheremo meno. Qualcuno ha già abbassato le tasse, altri hanno investito i quattrini incamerati per costruire scuole, asili, ambulatori.
Nel 2009 la doccia fredda. Un emendamento alla legge 185 recita che le società di riscossione tributi devono elevare entro tre mesi il capitale versato da 2,6 a 10 milioni di euro. L'obiettivo è dimezzare la platea dei concorrenti. A Ospitaletto vanno nel panico. Battono le parrocchie dei banchieri bresciani in cerca di un prestito. Uno di quelli famosi gli dice: «Venite dai vampiri a chiedere sangue?».
Quando sembra persa, arriva una telefonata dalla Cfi, Cooperazione finanza impresa, una società di partecipazione al rischio d'azienda di cui sono azioniste 270 cooperative e il ministero dello Sviluppo economico. «Volete 5 milioni? Noi siamo disposti a finanziarvi». Qualcuno sussurra che dall'aldilà sia intervenuto don Corrado Fioravanti con le sue entrature romane. Ma alla Fraternità sono cristiani, non creduloni. La risposta alla Cfi delle coop di Ospitaletto è scontata: «Pota!». Un'espressione di stupore e meraviglia. La traduzione più aderente al caso in questione è subito. O meglio: tanti, benedetti e subito.

24 Gennaio 2010
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